Piove, piove, piove. Non ha alcuna intenzione di smettere.
Marzo fottuto. La primavera non sembra avere nessuna voglia di arrivare a
consolare e scaldare.
I vetri delle finestre
sono rigati di pioggia che scivola via in larghe gocce grasse e panciute, pesanti.
Freddo e umido. Si passa una mano tra i capelli
corti come a scacciare la ragnatela appiccicosa d’un pensiero fastidioso.
Non può più stare chiusa li dentro. Deve uscire prima di
diventare pazza. Da mesi vive rinchiusa tra quelle quattro mura aspettando non
si sa cosa, guardando sempre lo stesso film, compiendo gli stessi gesti rituali,
ossessivamente.
Corre in bagno e si butta sotto la doccia prima che l’impulso
di uscire le passi lasciando il posto all’apatia e alle solite paranoie.
S’insapona sfregando forte, arrossandosi la pelle,
ricoprendosi di schiuma morbida e profumata lasciandosi frustare dal getto
potente della doccia bollente.
Rimane ad occhi chiusi per un po’ sotto l’acqua sperando che
le lavi via di dosso la frustrazione e la tristezza degli ultimi pesanti e
angosciosi mesi.
Si sente un po’ rigenerata, lentamente si spalma su tutto il
corpo una crema profumata e si strofina i capelli arruffandoli.
Passa un tocco leggero di matita nera a sottolineare il
contorno dei grandi occhi verdi e mette appena un velo di rossetto rosso. Sono gesti che non compie da tanto tempo, non
ne aveva avuto voglia, non sentiva il bisogno di farsi bella da un bel po’.
Non perde molto tempo a vestirsi: jeans, stivali neri,
maglietta nera e un maglione nero col cappuccio. Afferra il suo giubbotto di
pelle vecchio e sgualcito che la fa sentire tanto al sicuro e che le sembra
sempre che l’abbracci ed esce quasi correndo, come impaurita che i fantasmi,
gli incubi e i deliri le possano correre dietro afferrandola e riportandola in
casa, in prigione, tra sbarre di ricordi e di lacrime.
Sembra telecomandata. Sale in auto e va verso il Frida,
chissà poi perchè. Il locale è un vecchio ritrovo dove servono salumi spagnoli
e assenzio. Entra imbarazzatissima. Spera che nessuno noti quanto sia
disabituata ad andare in giro da sola per locali e si siede ad uno sgabello
vicino al bancone.
Ordina vino rosso. Le viene servito in un bel bicchiere panciuto,
un baloon sensuale. Il rubino del vino la ipnotizza. Dopo i primi due sorsi
inizia a rilassarsi e a scaldarsi. Osserva le persone, cerca di indovinare le
interazioni, ascolta i discorsi senza farsi notare. E’ curiosa e avida di vita, di gente, di parole. Le pare
che l’involucro vischioso in cui si sente rinchiusa da un pezzo si stia
spaccando lasciandola scivolare finalmente fuori, nuova, pulita, splendente.
La barista si lamenta di due avventori maleducati e le fa dei
gesti d’intesa. Sorride e alza gli occhi al cielo provando empatia per quella
ragazza che tutte le sere sopporta gente d’ogni tipo. Si crea una sorta di
confidenza per cui ogni tanto scambiano qualche frase. Si sente meno sola e
meno impacciata.
Il vino la illanguidisce e la rende curiosa. Gli occhi ora
vivaci e luminosi guizzano di qua e di là affamati di visioni.
Nel trambusto delle voci e delle risate che la distraggono
all’improvviso s’accorge d’una presenza al suo fianco. Non s’era affatto resa conto dell’arrivo di un uomo che
s’era seduto proprio sullo sgabello vicino al suo.
Fin’ora lei e la barista s’erano create un loro micromondo in
cui nessuno era penetrato un po’ perché
gli avventori s’andavano a sedere ai tavolini e un po’ perché era ancora
troppo presto perchè il locale fosse affollato così tanto da riempire tutti i
posti.
Ma torniamo al nostro uomo. Il fatto è che è pieno di uomini
il bar, ma quello li emana una forza strana che catalizza la sua
attenzione. Non è bello nel senso classico
del termine ma è maschio.
Ha spalle larghe e un torace ampio di quelli su cui
addormentarsi dopo la passione.
Ha una bella barba che lo rende decisamente selvatico. Come
lei anche lui è vestito semplicemente,
con pantaloni con le tasche e felpa
scura col cappuccio.
Si rivolge gentilmente alla barista chiedendo un whisky
“Oban” che lei non ha sentito mai nominare.
Mentre allunga la mano per prendere il suo bicchiere
inavvertitamente urta il vino facendolo
ondeggiare pericolosamente.
Lei lo afferra per evitare che si rovesci e nel farlo gli
sfiora le dita. Una corrente elettrica
scorre subito su per il braccio fino ad arrivarle in testa, direttamente in
mezzo agli occhi.
Le chiede scusa con un sorriso e lei improvvisa una frase
sconnessa, imbarazzata com’è da quel contatto inaspettato.
Finisce il suo vino e ne ordina un altro abbozzando un cin
cin in direzione della barista che le risponde facendo tintinnare il collo
della bottiglia della sua birra e coinvolgendo nel brindisi anche il bel
tenebroso.
Inizia così una danza di sguardi e di mezzi sorrisi
accennati, di battutine tra le due ragazze e l’uomo col cappuccio. Il tempo passa piacevolmente e ora sugli
sgabelli si chiacchiera amabilmente anche se non sono ancora state fatte le
presentazioni ufficiali. Lei si accorge che piano piano sta diventando più
maliziosa, sta flirtando e se ne compiace, ha dimenticato il sapore di quel gioco delizioso.
“Devo fare pipì” esclama con allegria rendendosi poi conto di
quanto fosse poco elegante la sua uscita in un contesto di estranei.
“Evviva” esclama la barista oramai sempre più impegnata a
preparare cocktails e a servire bibite.
L’uomo invece a quella frase s’incupisce e lei nota un guizzo
negli occhi scuri, come un luccichio perverso. Lo sente ripetere a bassa voce,
come se la assaporasse, quasi tra sè e
sè, la parola “pipì”.
Si accorge che ora la sta guardando fisso e quasi pensieroso,
come se stesse decidendo qualcosa di importantissimo.
Turbata si alza per andate in bagno e sente il suo sguardo
bucarle la schiena.
Si gira un secondo per lanciargli un’ ultima occhiata veloce
e i loro occhi s’agganciano. Le batte forte il cuore sono anni che un uomo non
la osserva così, le sembra davvero desiderio quello che ha percepito.
Corre a rifugiarsi nella toilette. Entra in fretta nel bagno, chiude la porta e
vi sì appoggia con la schiena. Si sente una bambina in gita. Si guarda allo
specchio e si mette a ridere da sola ripensando al suo comportamento infantile.
Si tira giù i jeans e si siede sul water. D’improvviso la
porta si spalanca e si ritrova davanti l’uomo misterioso. Ma come cavolo … non
aveva chiuso a chiave nella confusione del momento!!!!
Lui entra e si richiude la porta alle spalle.
Dovrebbe cercare qualcosa da tirargli addosso. Si domanda se
sia opportuno iniziare ad urlare a squarciagola chiedendo aiuto.
Cavolo, è un maniaco, l’ha seguita nel gabinetto e ora chissà
cosa vuole farle. Dovrebbe reagire e tentare di cacciarlo.
E invece niente, se ne sta li con i pantaloni calati fino
alle caviglie, seduta sul water, a guardalo.
Ha una espressione completamente rapita.
Piano piano si avvicina a piccoli passi.
Non parla, ha il respiro corto, è chiaramente eccitato, si
vede dal rigonfiamento del cavallo dei suoi calzoni cargo.
Poi, finalmente, parla. Rompe il silenzio e le parla con voce
bassa e profonda, incredibilmente rassicurante nonostante la situazione.
Le dice il suo nome. Michele, si chiama Michele. Cerca di
tranquillizzarla dicendole che ha solo assecondato l’impulso di seguirla senza
nessuna intenzione di farle del male.
Dice che gli piace,
che la trova molto bella e sexy. Dice anche
che vorrebbe chiederle una cosa ma che non vuole spaventarla o metterla in
difficoltà.
E’ confusa, imbarazzata e un po’ preoccupata ma allo stesso
tempo è incuriosita e terribilmente eccitata da quella situazione
potenzialmente pericolosa. Si chiede se lasciarlo fare.
Vuole vedere dove vuole arrivare, dove vuole andare a parare.
E poi le piace un sacco, le piace tantissimo quell’uomo. Ora chiusi insieme in quello spazio angusto
possono quasi palpare l’attrazione che c’è tra loro.
All’improvviso, rapido e fulmineo fa un balzo in avanti e le
prende il collo stringendolo con una mano e spingendola con la schiena contro
il muro.
Si china su di lei e la bacia, la bacia appassionatamente. Spinge
con la lingua contro i suoi denti bianchi per trovare un varco nella bocca calda e profumata di vino. Le dita
stringono abbastanza forte il collo da toglierle il respiro o forse è quel
bacio a levarle il fiato?
Trema tutta, è disorientata e le sue mani tentano di spostare
indietro l’uomo che la sovrasta, ma senza successo. E’ più possente e più
grosso di quanto appaia e tentare di spingerlo è come provare a muovere un
grande albero secolare.
La sua lingua è bollente e morbida e ha il sapore dolce del liquore, la invade tutta e si
ritrova a ricambiare il bacio stupita dalla sua reazione, e’ eccitatissima.
Forse è sufficientemente brilla da potersi permettere una sana incoscienza.
Si stacca e la lascia libera, le toglie la mano del collo
bianco e l’aria, densa dell’odore di lui, le riempie di nuovo i polmoni.
Ricomincia a parlare.
Dice che ha un desiderio, una fantasia. Le dice che gli
piacerebbe davvero da morire stare a guardarla mentre lei fa pipì e che gli
piacerebbe anche poterla leccare.
Pensa in fretta.
Scappare?
Colpirlo sotto il naso?
Urlare?
Perché?
Non si sente minacciata, si sente emozionata ed
eccitata. Ma è una follia!!
E’ una cosa da matti, è pericoloso, è da fuori di testa!!
Eppure sente che qualcosa dentro di lei scatta, si sta
arrendendo all’irrazionale, si sta lasciando andare alle sensazioni.
Tira un profondo sospiro e lo guarda dritto negli occhi con
aria di sfida. Le sorride di rimando. Sta li dritto in piedi, appoggiato alla
porta con le mani nelle tasche.
Forse nasconde un segreto, oppure soltanto caramelle e
monetine.
Senza dire nulla, inizia a far pipì.
Piano piano, calibrando il getto e tenendo bel allargate le
gambe in modo che lui posso guardare meglio la pioggia dorata che in un piccolo rivolo inizia a cadere.
Inizia a strofinarsi l’uccello con la mano da dentro i
pantaloni, lei riesce a vedere il gesto nascosto dalla stoffa.
Tira fuori le mani dalle tasche e si slaccia prima la cintura
e poi i bottoni e lascia scivolare fuori il suo cazzo, un bel cazzo, tutto
dritto e ben fatto.
Inizia a maneggiarlo
su e giù ritmicamente, una danza ipnotica, un balletto sensuale come un tango, mano e membro allacciati in un vortice
sensuale.
Continua a pisciare e lui s’avvicina puntandola con l’uccello
in mano.
Le si siede sopra, le si mette in braccio, faccia a faccia,
facendo attenzione a non pesarle addosso.
Infila il cazzo in mezzo alle sue cosce così da metterlo
direttamente sotto il getto d’urina. Goccioline dorate schizzano sui peli del
suo pube. Luccicano sotto la luce fluorescente del bagno del locale. Una doccia
bollente lo investe.
L’uomo chiude gli occhi e si gode la sensazione dello
scroscio sulla pelle tesa e lucida del suo membro mentre lo sfrega contro le
labbra aperte e bagnate della fica.
Lo attira a sé prendendolo per le natiche, vuole odorarlo,
vuole baciarlo ancora come prima.
Quando si esaurisce il getto lui si alza in piedi, le spinge
la nuca in avanti con una mano e con l’altra le infila il cazzo in bocca.
Bagnato d’urina e dei suoi umori lo succhia avidamente, lo
lecca, lo ingoia. Ora è affamata, avida, non si fa più nessuna domanda.
Si stacca interrompendo quel contatto così intimo e la tira
in piedi, la fa alzare dall’asse e le circonda la vita con un braccio
attirandola a sé.
Le accarezza il culo con la mano libera, scorre sulla pelle
nuda e lentamente s’insinua nella fessura umida suo sedere, sfiorandole l’ano con
le dita .
Sente subito una contrazione.
Sposta la mano davanti senza mai staccare da sé il corpo
della ragazza. Un passo alla volta l’ha spinta contro il muro e ora la sta
schiacciando con il peso del corpo, aderendo completamente a lei, sfregandosi
contro di lei.
Tuffa le dita nella sua fica bagnata .
Lentamente inizia a masturbarla sorreggendola. Le gambe le
tremano, lui la sente. Le bacia il collo, il petto, e intanto la tortura con le
dita. Ora sono tutte bagnate di lei e può di nuovo spingersi verso il suo
obbiettivo principale.
Con l’aiuto degli umori diventa molto più semplice infilarsi
in quel buco così stretto e timido. Il
dito entra un poco, poi ancora di più. Con calma si spinge sempre più in
profondità senza forzare, finché non la sente rilassarsi e accettare quel
massaggio inebriante.
Le dita diventano due. Poi tre. Ora lei sta ansimando forte
aggrappata al suo collo.
Il suo respiro caldo gli sfiora la pelle e la sente
sussurrare preghiere e implorazioni.
Margherita. Si chiama Margherita. Glielo sta mormorando tra
un sospiro e l’altro.
D’un tratto smette di toccarla. Respira forte, si concentra,
la guarda deciso. Le tira su i pantaloni, allaccia i suoi. Lei è confusa e
carica d’elettricità. Si sta chiedendo come mai lui si sia fermato così
repentinamente.
Tenendola per mano la trascina fuori da quel bagno angusto.
Attraversano il locale quasi correndo e si tuffano nella
notte.
Lui ha bisogno d’un letto per incularla, per leccarla, per
scoprirla. Lei ha bisogno di scuotersi
di dosso l’incredulità d’aver scovato quell’anima affine per potergli mostrare con calma, con pazienza, con
tranquillità tutto quello che vuole fargli per farlo godere.
Gli animali della notte corrono verso una tana.
(Ayse)
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