LO QUE ME GUSTA


"Lo que me gusta de tu cuerpo es el sexo. Lo que me gusta de tu sexo es la boca. Lo que me gusta de tu boca es la lengua. Lo que me gusta de tu lengua es la palabra."

Julio Cortàzar -



venerdì 17 aprile 2009

...il NERO e il ROSSO


...il NERO e il ROSSO

L’ordine era arrivato all’ultimo momento.
Una mail brevissima, sei parole: ore otto solito posto, nero lungo.
Non persi tempo in stupide elucubrazioni mentali perché ne avevo poco e dovevo prepararmi.
Ormai ero abituata , facevo in modo di essere sempre pronta.
Tenevo un abito da sera stirato sul baule della camera, scarpe alte già lucidate sotto la sedia e alcune altre piccole cose .
Tutto accuratamente sistemato per rendere più veloce ogni gesto.

Mi vestii rapidamente e scelsi ,ovviamente, un abito nero, lungo.
La seta impalpabile sottolineava ogni curva.
Era un vestito abbastanza scollato ma non volgare, che lasciava scoperta la schiena, con un ampio spacco sul di dietro.
Non sapendo dove mi avresti portato decisi di non esagerare con l’eleganza.
Niente biancheria intima, solo calze velate autoreggenti.
Raccolsi i capelli sulla nuca in modo da lasciare scoperta la dolce curva del collo cinto solo da un sottile collarino di cuoio nero.
Un filo leggero di trucco e via, in macchina, verso il luogo dell’appuntamento.

Arrivai un attimo prima di te.
Vidi da lontano la tua macchina, nera, lucida, con i fari puntati verso di me.
Una breve e morbida frenata.
Mettesti le quattro frecce e con una manovra sicura ti accostasti e mi facesti cenno di salire.
Con un allegro sorriso ironico mi guardasti da sopra gli occhiali da sole.
Faceva decisamente freddo nell’auto, ma non dissi una parola. Evidentemente sentivi caldo.
Avrei messo il copri spalle che tenevo in borsa.

Lo spacco del vestito si aprì sotto il mio sedere nudo e il contatto della pelle fredda del sedile contro la mia mi fece venire i brividi.
- Che freschino!! – esclamai allegramente.
Ti vidi alzare un sopracciglio , perplesso.
Ecco, avevo detto una delle mie solite cavolate.
Pensai tra me e me: cominciamo bene, non sono ancora salita in macchina e ho già messo giù male il piede.

Superato il primo momento di destabilizzazione mi lasciai cullare dalla musica che riempiva abitacolo dell’auto e mi persi a osservarti mentre guidavi.
Finchè non mi fissavi mi era “quasi” possibile riuscire a guardati senza che mi venissero le palpitazioni.
Ti osservavo girare il volante assecondando ogni curva, armeggiare coi comandi, reimpostare il navigatore, cambiare le stazioni della radio, ero affascinata da ogni gesto.
Il cruscotto dell’auto sembrava il pannello di controllo dello space shuttle, c’erano così tanti bottoni e lucine che mi sarebbe stato impossibile cercare di capire anche solo dove si accendevano le luci.

Era il giorno del mio compleanno, ma non aveva importanza, il regalo più bello era la gioia di poterti vedere.
Cominciai a sentire caldo, inspiegabilmente per altro visto che pochi minuti prima avevo rabbrividito e mi ero messa il golfino.
L’aria condizionata era accesa e il termometro interno dell’auto segnava 12 gradi, eppure …

Fuori era una fresca serata primaverile e non mi spiegavo come mai la scelta del climatizzatore.
Il caldo che sentivo però aumentava di minuto in minuto tanto che iniziai ad essere contenta del condizionatore acceso.
Mi tolsi il copri spalle, non riuscivo a capire.

La pelle nuda del mio fondoschiena, a contatto con il sedile della macchina iniziava a scaldarsi sempre di più.
Ad un certo punto capii che il calore proveniva da sotto di me.
Iniziai a sudare e cominciai a sentirmi un pochino irrequieta.
Continuavo a cambiare posizione, mi mettevo più dritta, poi mi spostavo da un lato, mi sollevavo leggermente appoggiandomi sulle mani.


Il sedile si surriscaldava sempre di più.
Non riuscivo più a stare ferma, sudavo e avevo le guance in fiamme dal caldo.
Ormai non riuscivo più a nascondere le mie reazioni, temevo che da un momento mi avresti chiesto se fossi impazzita e allora non avrei saputo cosa dire.

“Io credo ….”
Mi interruppi non appena vidi che stavi per aprire bocca.
Forse avevo capito cosa stava succedendo.
Non ero sicura che fosse una cosa che accadeva inavvertitamente
“Che hai? Sei scomoda?” mi chiedesti.
“No io… io … io … “ tentai di spiegare balbettando, ma mi interrompesti.
“ Desideri che mi fermi per sistemarti meglio?Hai il fuoco di S. Antonio per caso? Mi devo preoccupare? “.
Il tono della tua voce era a metà tra il divertito e l’indispettito.

Ero terribilmente a disagio.
Parevo morsa da una tarantola.
“Sento caldo sotto di me, non capisco…” riuscii a balbettare.
Certo che detta così era facilmente equivocabile.
Tutte le lucine rosse nella mia testa, quelle indicatrici del panico, ormai erano accese e lampeggiavano freneticamente.
Girasti la testa verso di me e mi guardasti perplesso .
”Hai caldo là sotto? “
“Ho capito bene?”
La tua espressione non lasciava nessuna libera interpretazione.
“Ma … ma … ma, non intendevo in quel senso. Cioè, sento caldo sotto di me “.
Sudavo e tremavo.
“Non so come spiegare , forse per caso i sedili di pelle ...?”
“Ma che sfacciataggine è mai questa ? Stiamo andando ad una cena di lusso, tra persone raffinate ed eleganti e mi vieni a dire che senti caldo in mezzo alle gambe?”
“Non mi fraintendere …” oddio ma cosa stavo mai dicendo.

Mi stavo buttando da sola dalla padella nella brace.
“Sei impazzita per caso ?”
Mi dicesti fulminandomi con lo sguardo.
Iniziai a tremare e cercai di spiegarti quel che accadeva.
“Il sedile, scotta e diventa sempre più caldo. Questo intendevo dire. Oddio… “ dissi nascondendo il viso con le mani.

Ecco, ora ero proprio nei guai , pensai, finchè non ti vidi esplodere in una grassa risata.
” Fammi sentire tutto questo caldo che effetto fa!! “
Mi infilasti una mano sotto il vestito, constatando che il giochino dei sedili riscaldabili aveva sortito l’effetto sperato.
“Vedo che comunque una punta di verità nelle tue parole c’era, quando dicevi che sentivi caldo la sotto!!”
“Ahahahaha” .
La tue dita infatti riemersero da sotto il vestito bagnate e calde Me le porgesti la leccare.
“Pulisci piccola troia irriverente e scostumata !!”

Non mi sarei mai abituata a tutti quegli sbalzi di emozioni.
Nell’arco di un ora eri in grado di suscitare in me una vera e propria tempesta emotiva.
Oddio che imbarazzo!!
Piano piano mi rilassai, vedendo la tua espressione divertita e soddisfatta e sentendo che la temperatura tornava alla normalità.
Solo quella del sedile pero’.
La mia sembrava essersi alzata a dismisura.

Stavamo per arrivare.
Meno male pensai dentro di me.
Iniziavo a temere seriamente le potenzialità della tua auto .
Chissà quali altri strani congegni e optional poteva avere.
Mi irrigidii un po’ di più sul sedile, agitata e nervosa per questo ingresso in società.
Sarei dovuta stare tutta la sera in un ambiente a cui non ero abituata.
Non avevo mai frequentato l’alta società, io.
Imboccammo l’ampio viale alberato di una grande villa che ci condusse ad un parcheggio dove erano già presenti numerose auto di lusso.
La tua espressione divenne solenne ed io iniziai a temere che ti avrei fatto sfigurare in quell’ambiente così raffinato.
Scendesti dalla macchina per fare il giro e aprirmi la portiera.
Mi aiutasti ad uscire dall’auto.
Mi sciolsi a quel gesto infinitamente elegante e dolce.
Mi porgesti il braccio e mi ci aggrappai felice del sostegno.

Facemmo così il nostro ingresso nella lussuosa villa e un cameriere che pareva un pinguino ci condusse ad uno dei tavoli.
Tutti ti guardavano come se fossi l’ospite d’onore.
Ogni persona che incrociavamo e che si fermava a scambiare quattro parole con noi, pendeva dalle tue labbra.
Trasudavi un carisma e un fascino che lasciava a bocca aperta e tutti parevano restare sospesi, con la voglia di parlarti, di versarti da bere o anche solo di girarti il caffè.

Eravamo ad un tavolo rotondo con altri invitati.
Io mi guardavo attorno frastornata da tanta eleganza, cercando di non dare a vedere quanto mi sentissi inadeguata.
Sedute al tavolo con noi c’erano varie persone che mi presentasti minuziosamente.
Per ognuno di loro avevi un aneddoto, una storia da raccontare, un piccolo particolare .

Le prime che mi presentasti furono due donne sedute vicine.
Erano socie in affari di un importante studio legale.
Di loro raccontasti di quanto vi foste divertiti insieme in uno spettacolare week end in cui successe di tutto.
Non stentavo a crederlo del resto.
Riuscii a scorgere un fuggevole sguardo complice tra le due donne al ricordo di quell’avventura passata tra mare e sole e ...
Fu poi il turno di un anziano giudice di pace sui settant’ anni con un nome altisonante che dimenticai subito e che a quanto pareva, risultava essere molto più arzillo di quello che si poteva pensare.
A sentire i racconti, insieme ne avevate combinate di tutti i colori.
Fatto sta che il simpatico vecchietto passò tutta la sera a fissare la scollatura del mio vestito.
Ecco ora la presentazione degli unici coniugi al nostro tavolo. Una coppia annoiata, che avrebbe di sicuro preferito non interrompere la propria routine di tv e faccende domestiche.
Ti avevano ospitato per qualche giorno nella loro casa in montagna e ne tessesti le lodi per loro ospitalità e gentilezza.
Ultimo del giro di presentazioni fu un distinto dirigente sulla cinquantina , unico astante del quale non raccontasti nulla.
A quanto pare vi conoscevate solo di nome.

Ero completamente per aria, sentivo solo il tocco leggero delle tue dita sulla mia schiena che mi accarezzavano lentamente.
Pareva volessi disegnare strade di fuoco sulla mia pelle, ogni studiato passaggio della tua mano lasciava una scia bruciante.
Nonostante tutto, riuscii a mantenere un certo contegno, fino ad un certo punto.
Mi versasti un bicchiere di vino per allentare la tensione.
Percepivi il mio turbamento.
Cominciai piano a sciogliermi dopo i primi sorsi.
Divenni più spigliata e riuscii perfino a scambiare qualche parola con i nostri compagni di tavolo.

Tenevi banco e con aneddoti divertenti e con i tuoi racconti intriganti dirottavi continuamente l’attenzione.
Io davo poco peso alle parole di chi mi stava davanti, sentivo solo che si chiacchierava, ma non avevo occhi che per te.
Mi bevevo ogni gesto, ogni parola avidamente, senza un secondo di distrazione.

Ad un certo punto ti chinasti leggermente al mio orecchio e con molta discrezione spostasti la mano che mi accarezzava, dalla schiena al ginocchio, stringendo forte, in una morsa, la tenera carne dell’interno coscia.
Il tuo alito caldo sul mio collo fu un’esplosione di brividi e il cuore iniziò un galoppo sfrenato.
Avevo il fiato corto.

Mi sussurrasti:
“Credo che ci abbiano dato il tavolo più noioso di tutta la festa”.
Annuii discretamente.
Con un sorriso smagliante riprendesti la brillante conversazione.
Al terzo bicchiere di vino ero decisamente brilla e il tono della mia voce iniziava ad alzarsi pericolosamente.
All’improvviso ti alzasti dicendo :
“Vorrei proporre un brindisi per il compleanno della mia cara amica.”
Sorridesti, ammiccando nella mia direzione.
Con una mano alzasti il calice e con l’altra mi aiutasti a mettermi in piedi , imbarazzata e confusa.
Avevo le guance in fiamme e un caldo pazzesco.
Mi tremavano le gambe per l’emozione .
Gli invitati al nostro tavolo, si alzarono anche loro, seguendo i tuo esempio e levando i bicchieri nella mia direzione.

Mi sorridevano.
Io volevo sprofondare.
Mi sussurrasti in un orecchio:
”Movimentiamo la serata. Ti ho fatto un regalo.”
Un regalo, addirittura. Non ci potevo credere.
Mi sembrava di volare.
Ti vidi far scivolare la mano all’interno della giacca e ne sfilasti un piccolo astuccio ovale impacchettato e infiocchettato accuratamente.
Era accompagnato da una busta di carta di riso, attaccata al pacchetto da una piccola molletta nera.
Mi porgesti il regalo.
Lo presi con mani tremanti mormorando impercettibilmente un grazie ad occhi bassi.
Con tutta quella gente che ci fissava e ci puntava gli occhi addosso mi sentivo in imbarazzo.
Con flebile voce ti chiesi se potevo aprirlo a casa.
Mi dicesti : “Leggi il biglietto prima. Leggilo attentamente.”
Aprii la busta piena di trepidazione.
Sapevo che eri in grado di scrivere parole meravigliose, che emozionavano.
Il bigliettino era scritto di tuo pugno, con una calligrafia impeccabile ed elegante ed iniziava così:

“Buon compleanno,
so che stasera ti sembra tutto così strano e suggestivo
che non credi ai tuoi occhi , ma volevo appunto
rendere speciale questo giorno.
Inoltre quando mi invitarono ero pienamente consapevole che sarebbe stata
una festa di una noia mortale.
Questo è un piccolo dono per te , ma sarà anche un
diversivo fino a che non sarà finita questa serata
e potremo finalmente andarcene da qui.
Dovrai fare molta attenzione e avere molto autocontrollo tra qualche minuto
e per tutto il resto della serata.
Non aprire il regalo , mettilo nella borsetta,
chiedi scusa e recati alla toilette.
Una volta lì, scarta il pacchetto e segui le istruzioni riportate sul retro di questo stesso bigliettino.
Leggile solo dopo aver aperto il regalo.
Ora esegui.
Alzati e vai alla toilette, subito.
… ancora auguri e …
non mi deludere,
conto su di te per ravvivare questa cena”

Io


La gioia immensa , quella che avevo provato fino a qualche secondo fa, andava lentamente trasformandosi in puro terrore al pensiero di cosa avrei trovato nel pacchetto.
Oddio, perché mi dovevi sempre mettere in queste situazioni complicate e imbarazzanti?
Alzai il viso in uno sguardo implorante, i miei occhi dicevano: Ti prego, cosa c’è nel pacchetto? Per favore…

Percepisti il messaggio e stringendomi un braccio mi facesti un cenno con la testa in direzione del bagno.
Il significato era chiaro: “Vai! Immediatamente!!”.
Non erano ammessi tentennamenti , né dubbi , né domande.
Respirai profondamente, presi coraggio e chiesi scusa.
Mi spostasti la sedia aiutandomi ad alzarmi.
Una volta in piedi mi sentii quasi svenire.
Prontamente mi sorreggesti per un braccio, dicendo : “Scusatela, mi sa che ha bevuto un po’ troppo , ma sono sicuro che se si sciacqua il viso le passerà, il malessere.”
Una delle due avvocatesse si offrì di accompagnarmi in bagno ma io declinai prontamente cercando di riprendere il controllo.
Immaginavo l’imbarazzo di doverle spiegare che avevo bisogno di rimanere da sola.
Conoscendo le donne, avrebbe subito pensato che stessi più male di quello che volevo dare a vedere e come minimo avrebbe chiamato te, se non addirittura un ambulanza.

Tirai un profondo respiro , ti passai accanto chinando il capo per qualche secondo, poi proseguii a passo sicuro e a testa alta verso la toilette, cercando di mascherare il mio nervosismo e la mia agitazione.
Entrai nei bagni.
C’erano due donne che chiacchieravano animatamente mentre si sistemavano il trucco.
Mi guardarono per un attimo.

Non persi tempo, infilandomi subito nel primo bagno libero.
Tirai giù l’asse del water e mi sedetti cercando di ritrovare un po’ di calma prima di aprire il pacchetto.
Con mani tremanti tentai di tirare giù la zip della borsetta. La cerniera continuava ad incepparsi ,la pochette mi scivolò di mano e cadde per terra.
Mi chinai a raccoglierla, contai fino a dieci e ritentai.
Questa volta riuscii.
Bene , ora non dovevo far altro che estrarre il regalo, aprirlo e scoprire di che morte dovevo morire.

Continuavo a rigirarmi tra le mani quell’oggetto strano cercando di capire che cosa fosse.
Aveva una forma vagamente ovale, delle dimensioni di circa 8 cm per 4.
Una specie di ovetto allungato, grigio, dall'aria innocua e anonima.
Era liscio al tatto, con una congiunzione più o meno al centro.
Non mi sarei messa lì a smontarlo per capire cosa fosse, anche se vagamente iniziavo ad intuire qualcosa.
Sembrava una specie di vibratore tascabile.
Non capivo dove potesse stare il divertimento.
Non vedevo l’alloggio per le batterie e non riuscivo ad immaginare in che modo avrebbe potuto interagire con me, né come avesse potuto farti divertire .
Non ero una grande esperta di gadget erotici.
Leggendo il retro del biglietto avrei sicuramente capito.

Rigirai il foglio e trovai le istruzioni.

Il biglietto recitava così:

Eccoci ,
questo regalino ti darà forti emozioni.
Credo che mi ringrazierai per avertelo donato.
Credo che sia lampante che devi infilartelo della fica.

Fai attenzione che il cordino nero rimanga fuori, altrimenti non riesco ad immaginare che numeri dovrò mai fare per estrarlo.

Ti sembrerà che non sia niente di particolare, ma credimi, niente è come sembra a volte..

Sentirai solo la sua presenza dentro di te, per ora , e il suo leggero peso quando camminerai per tornare a sederti al tavolo.

Ora esegui, mettilo dove ti ho indicato, e torna da me .

Questo è ciò che desidero.

Come sempre ogni mio desiderio è un ordine.
…. ancora auguri
IO

Va bene, ero pronta.
Se era questo che volevi da me, l’avrei fatto.
Ogni tuo desiderio era un ordine, ed ogni ordine andava eseguito e senza diritto di replica.
Era una delle prime cose avevo imparato.
Non avevo molte alternative, quindi.
Feci quello che dovevo fare, senza nessuna fatica.
Sapevi benissimo che la situazione mi avrebbe eccitato terribilmente.
Riposi con cura il bigliettino nella borsa, mi lisciai il vestito e con estrema lentezza, mi alzai e uscii dal bagno.

Mi guardai allo specchio, diedi una ritoccatina al trucco.
Misi un po’ di cipria chiara per nascondere il leggero rossore che mi coloriva le guance al pensiero di dover affrontare il salone pieno di gente.
Non sembrava così difficoltosa la cosa.

NIENTE E’ COME SEMBRA CON ME, avevi scritto, e io continuavo a pensare a questa frase.
Mi girava e rigirava in testa insistentemente.
Passo dopo passo, sentivo quello strano oggetto dentro di me farsi sempre più pesante.

La cosa che mi turbò di più ,però, fu arrivare al tavolo e non trovarti .
Feci finta di nulla e mi sedetti.
Forse eri andato in bagno o a fumare.
Oppure semplicemente a prendere un boccata d’aria.
Per quanto mi guardassi in giro non riuscivo a scorgerti da nessuna parte.
Mi sentivo persa, non sapevo cosa dire, cosa fare, come muovermi.

Il dirigente sulla cinquantina venne a sedersi al mio fianco e mi chiese se poteva versarmi un bicchiere di vino.
Era un fresco bianco di Custoza, tutt’altro che leggero.
Senza aspettare la mia risposta mi riempì il calice.
Fui lieta di poterne bere un sorso.

Stavo portando il bicchiere alle labbra, per calmare un po’ la mia inquietudine, quando all’improvviso, sentii una sommessa vibrazione all’interno del ventre.
Quasi mi si rovesciò il vino.
Il sorso che stavo mandando giù mi andò di traverso e cominciai a tossire.
I colpi di tosse mi irrigidivano il diaframma amplificando la sensazione della vibrazione.
Lentamente stavo prendendo consapevolezza della situazione seriamente imbarazzante in cui mi trovavo.

Il distinto semisconosciuto iniziò a battermi sulla schiena , finchè non giurai e spergiurai che mi era passato tutto riuscendo a convincerlo che poteva smettere.
All’improvviso la vibrazione cessò, ma l’inquietudine no.
Quella strana sensazione così profonda, mi aveva lasciato la voglia che tu fossi con la mano tra le mie gambe, a toccarmi.
Invece mi ritrovavo li, da sola, ad un tavolo pieno di sconosciuti che iniziavano a guardarmi come un extraterrestre.

Cercai di rispolverare le tecniche di meditazione kundalini che conoscevo per il controllo della respirazione.
Era l’unico modo che mi venne in mente per cercare di mantenere il controllo.
Da un momento all’altro, ne ero certa, la vibrazione sarebbe ricominciata.
Rimasi assolutamente immobile sulla sedia, con una mano sul ventre, cercandoti disperatamente con gli occhi.

Passarono così una decina di minuti.
I commensali mi rivolgevano domande, chiacchieravano con me, io cercavo di sembrare il più naturale possibile
Il dirigente continuava a fissarmi, approfittava della tua assenza per farmi la corte.
Anche se mi avevi presentata come un’amica, nessuno prima che tu te ne andassi si era azzardato a corteggiarmi.
Faceva il galante, mi sfiorava la mano mentre parlava, e stava proteso verso di me con il viso.
Il messaggio era chiaro: che ne dici se facciamo amicizia?

Io mi scostai dal suo tocco fastidioso, cercando di deviare il discorso su argomenti banali e noiosi per farlo desistere.
Mancava solo che oltre a dover gestire il mio “regalo di compleanno”, dovessi pure affrontare un corteggiatore insistente e fastidioso.

Tenevo il tovagliolo sulle gambe come se avessi timore che si potesse vedere qualcosa di ciò che accadeva nel mio ventre.
Per cercare di sottrarmi all’insistente ricerca di contatto fisico del mio corteggiatore feci un brusco spostamento.
Il tovagliolo cadde a terra.
Nell’attimo stesso in cui mi chinavo per raccoglierlo, sentii riprendere la vibrazione , molto più forte questa volta.
La posizione che avevo assunto per prendere il tovagliolo da terra amplificava ogni pulsazione .

Si, pulsazione.
Ora non si limitava a vibrare l’ovetto.
Pulsava e vibrava contemporaneamente.
La scarica arrivò talmente inaspettata e forte che mi rialzai di scatto, da piegata a seduta .
La sedia si inclinò pericolosamente, oscillando e facendomi finire quasi sul pavimento.
Se non fosse stato per te sarei caduta a gambe per aria.
In un attimo eri dietro di me, come se fossi uscito dal nulla.
Tenendo la sedia salda a terra col corpo mi appoggiasti le mani sulle spalle.
Sentivo la forte pressione delle tue dita calde sulla mia pelle.

Alzai il viso verso di te , con gratitudine.
Mi restituisti lo sguardo, con un messaggio ben diverso.
“Presta attenzione a ciò che fai.” Minacciavano i tuoi occhi.
Con voce tremante mormorai :
“Scusate , ho la fobia degli insetti, e per un attimo ho avuto l’impressione di essere stata punta da qualcosa.”

Intanto la vibrazione continuava senza tregua.
Sembrava andare a toccare direttamente le corde della mia anima.
Stavi mettendo alla prova il mio autocontrollo.
Mi rendevo conto che per un attimo avevo rischiato di rovinare tutto.
Se fossi caduta dalla sedia sarebbe stata la fine.

L’umiliazione che avrei provato, il dolore di averti deluso, la frustrazione di non essere stata all’altezza avrebbero compromesso per sempre ogni cosa.
Tremavo da capo a piedi.
La sedia sotto di me era bagnata, molto bagnata, inevitabilmente bagnata.
Emozioni, sentimenti e reazioni contrastanti.
Sentivo la vibrazione dentro di me causare ondate di desiderio travolgente.

Cercai di riprendere il controllo tirando un lungo respiro.
Mi scappò un mugolio.
Iniziai a canticchiare sommessamente, per cercare di mascherare il reale significato di quei sospiri.
Ti vidi accennare appena un sorriso.
Al ritorno avrei chiamato la mia amica e l’avrei ringraziata con tutto il mio cuore, sempre che io fossi riuscita a uscire viva dalla serata.
Una volta mi raccontò che quando le veniva un attacco di panico, per ritrovare la calma si metteva a cantare a bassa voce, tra sé e sé.
In questo modo teneva a bada il cervello, spostando la concentrazione sulla melodia e sulle parole anziché sulla sensazione di perdita del controllo.

Giocherellavo con le posate cantando a bassa voce, cercando di ignorare le sensazioni che stavo provando.
Sentivo anche che ero molto vicina all’orgasmo e mi chiedevo come avrei potuto dissimulare.
Sentivo di avere il viso in fiamme, le mie guance bruciavano e avevo caldissimo.

Iniziai a sventolarmi col tovagliolo mormorando timidamente, con un sorriso: ” Scusate, è il vino, non sono abituata a bere”.
Sentivo che i miei occhi stavano assumendo una espressione liquida, dolce, intensa e lontana.
Mi stavo perdendo nel mare delle sensazioni che ondeggiavano in me.

Avevi una mano in tasca, dove tenevi nascosto il telecomando che azionavi a piacimento e stavi comodamente appoggiato allo schienale della sedia, chiacchierando e ignorandomi , apparentemente.
Cercavo di tenere il respiro sotto controllo.
Inspiravo dal naso lentamente e altrettanto lentamente espiravo dalla bocca, immaginando la risacca del mare con gli occhi della mente.
Cercanvo dentro di me qualsiasi immagine che potesse riportarmi a sensazioni di calma.

Ti vidi girare la testa nella mia direzione.
Mettesti la mano calda sul mio braccio , e contemporaneamente sentii che la vibrazione si faceva intensissima.
Mi aggrappai disperatamente al tuo braccio.
Come se stessi parlando da molto, molto, lontano udii la tua voce:
“Che hai ? Non ti senti bene? Ancora il vino? Forse il bianco ti fa male.”
Mi dicesti ammiccando.
”Bevi un po’ d’acqua così magari ti passa”.
Me ne versasti quindi un abbondante bicchiere.
“Bevi su, che ti fa bene. Vedrai che poi starai meglio”.

Era chiaramente un ordine, ma appariva agli occhi degli altri come una premura nei miei confronti.
Bevvi lentamente.
Avevo sete ma sapevo che l’effetto dell’acqua sarebbe stato devastante.
Ne versasti un altro, sempre pieno fino all’orlo.
Con voce suadente ti sentii ancora dire:
” Bevi ancora, dai retta a me.”
Ti guardai implorante.
Continuando dolcemente concludesti “L’acqua ha straordinari poteri rinfrescanti. Su, vedrai che così passa tutto”
Io mormorai un timido:
“Si , forse hai ragione, Ti ringrazio delle premure, l’acqua è proprio quello che mi occorre”.

Non ero riuscita a mangiare molto quella sera, avevo la pancia vuota.
L’acqua era fredda e la sentii depositarsi sullo stomaco in subbuglio e riempirmelo.
Sapevo che di li a qualche minuto avrei avuto bisogno di andare al bagno.
Per un attimo avvertii la vibrazione cessare e tirai un sospiro di sollievo.
Riuscii ad abbozzare un sorriso verso il giudice di pace che mi stava parlando.
Non sapevo di cosa si discutesse a dir la verità.
Non riuscivo a sentire nemmeno una parola di ciò che mi veniva detto.
Mi accorsi che sorridendo, tutti erano soddisfatti e credevano che li stessi ad ascoltare.

Mi sentivo la febbre.
La mia pelle scottava e ogni ricettore si tendeva verso di te per capire cos’altro ancora sarebbe potuto succedere.
Arrivò un cameriere con i dolci e lo champagne.
Lo pregai di non versarmi il vino ma gli facesti cenno di si con la testa e ovviamente, ti ubbidì senza neppure accorgersi che io avevo declinato l’offerta.

Non potevo più bere nient’altro, avevo la vescica piena che premeva paurosamente sui muscoli già duramente messi alla prova, del mio ventre.
Avevo contrazioni fortissime, che cercavo di contrastare irrigidendo i muscoli, ma con la vescica piena facevo una fatica terribile e temevo di non riuscire più a controllare né la sensazione di esplosivo piacere né la necessità di recarmi al bagno.

Feci per alzarmi, lanciandoti un’implorante sguardo. Trovai il coraggio di sussurrare : “scusate , dovrei andare al ….”
Non feci in tempi a finire la frase.
Ti alzasti, proponendo un brindisi per la splendida riuscita della festa e levando il bicchiere verso i nostri compagni di tavolo .
Tutti ti seguirono e anche io, di conseguenza , dovetti mettermi in piedi.
Mentre staccavo il sedere dalla sedia cercando di non svenire alzandomi ecco ricominciare quella terribile, dolce tortura.
Questa volta più forte che mai.

Le gambe mi tramavano paurosamente, stavo per perdere coesione, il controllo, l’equilibrio, i sensi … stavo per perdere tutto.
Le uniche necessità che provavo in quel momento erano: quella di porre fine a quella straziante sensazione esplodendo in un orgasmo stratosferico e farmi la pipì addosso.
Non ne potevo più.
Avevo la sensazione che tutti mi stessero a guardare e che ridessero di me e di quanto fossi impacciata, imbarazzata, strana, goffa.

Era terribilmente umiliante sentirsi così esposta pur capendo che nessuno poteva intuire quello che mi stava accadendo.
Mi vergognavo per il fatto che sicuramente pensavano che fossi anche un po’ ubriaca.
Magari, a causa di questa brutta impressione che stavo dando, avresti potuto fare una figuraccia davanti a persone che conoscevi.
Stavano per cedermi le ginocchia.

Mi aggrappai al tavolo con una mano mentre con l’altra tentavo di tenere alto il bicchiere per il brindisi.
Contenere il tremito che mi pervadeva era uno sforzo al limite della sopportazione.
Ogni mio muscolo era impegnato ad impedire che si rovesciasse il vino.
Ogni mio muscolo era impegnato a fare in modo che le gambe continuassero a sostenermi.
Non ce la potevo fare più, era umanamente impossibile impedire al mio corpo di contenersi ulteriormente.
Ti chinasti su di me.

Appoggiandomi una mano sulla schiena mi sussurrasti all’orecchio: “Non provare a godere, né a cadere, né a fare qualcosa di azzardato o che mi possa mettere in imbarazzo”.
I miei occhi, pieni di supplica, ti guardavano cercando di dirti che avrei provato con tutta me stessa a mantenere il controllo , ma che non pensavo, onestamente, di potercela fare.
All’improvviso ti alzasti con il telefono in mano e ti allontanasti un pochino dal tavolo.
La vibrazione smise di colpo.

Forse sarei riuscita a riprendermi un po’, se la tregua fosse durata abbastanza.
Non appena componesti il numero la tua espressione divenne solare.
Ti vidi ridere e scherzare , i tuoi occhi brillavano .
Continuavi a sorridere , passeggiando con calma a pochi metri da me.
Ti sbirciavo con la coda dell’occhio, cercando di capire con chi fossi al telefono, chi potesse renderti così felice solo con una telefonata.
Ad un certo punto riuscii a leggerti il labiale perché in quel momento mi fissasti calamitando e inchiodando i miei occhi ai tuoi.
Volevi che capissi cosa stavi dicendo.

Sulla Tua bocca vidi chiaramente affiorare le parole “A dopo” mentre chiudevi la telefonata.
Mi avresti lasciato da sola.
Te ne saresti andato via, ad incontrare la persona a cui avevi telefonato, lasciandomi tra sconosciuti, in preda alla più totale disperazione.

Ti vidi ritornare al tavolo:
“Scusate, una telefonata importante, una mia cara amica”, dicesti ai commensali.
Poi ti rivolgesti a me chiedendo: ”Come va? Passato il malore?”
Piena di sconforto mormorai con un filo di voce : “ Mi gira ancora un po’ la testa, ma penso di sentirmi meglio , grazie”
“Sei proprio sicura?” domandasti ancora sollevando un sopracciglio.
Proprio in quell’istante scoprii una nuova funzione del vibratore telecomandato, una sensazione assolutamente indescrivibile.
Una successione di pulsazioni pazzesche fece vibrare il mio essere talmente tanto che iniziò a formicolarmi ogni parte del corpo, come se io stessa fossi percorsa dalla corrente che alimentava quel congegno terribile.

Ti chinasti su di me, mi mettesti una mano sulla fronte come se volessi provarmi la febbre.
Con voce gelida e risoluta mi dicesti piano nell’orecchio, in modo che potessi sentire solo io:
“HO DETTO NO, E’ UN ORDINE”.
Ecco.

Se quelle parole avrebbero dovuto essere da monito, e scoraggiarmi non avevano funzionato.
Avevano scosso ulteriormente quella parte di me che stava già morendo di voglia ed eccitazione.
Sapevi benissimo che i tuoi ordini così diretti scatenavamo in me questo tipo di reazione.
Provavo un’eccitazione tale quando ti rivolgevi a me con quel tono, che mi sentivo travolgere peggio di qualsiasi “ovetto” vibrante.
La frittata era fatta.

Dopo quelle secche parole sibilate al mio orecchio, ero in preda al panico.
Erano la goccia che avrebbe fatto traboccare inevitabilmente il vaso a breve.
Il mio orgasmo era diventato assolutamente incontenibile meno di un secondo dopo averti udito.

Lo stavo sentendo salire con una intensità e una velocità inaudita, non avrei mai potuto arginarlo, nemmeno con tutto l’autocontrollo del mondo.
Mi aggrappai con tutte le forze al tavolo appoggiando il bicchiere sulla tovaglia ,per scongiurare almeno l’eventuale disastro di vetri rotti e vino addosso alla gente.
Ora dovevo solo provare ad evitare di urlare e cercare di camuffare l’orgasmo.
Potevo simulare un malore, sperando che a nessuno venisse in mente di chiamare un ambulanza, in tal caso non osavo immaginare la situazione.
Spiegare al medico che mi visitava cosa facevo in vestito da sera , senza mutandine e con un vibratore telecomando dentro di me ad una cena con centinaia di persone , non era proprio una prospettiva divertente.

Avrei anche potuto scappare in giardino,sempre che alzandomi sarei riuscita a camminare.
Mi sarei potuta allontanare così, da quella situazione imbarazzante, ma il solo pensare alle conseguenze di un tale gesto mi fece rimanere impietrita al mio posto.
Sapevi benissimo ciò che mi stava accadendo, e mi guardasti scuotendo la testa e fulminandomi con lo sguardo.

Io pensavo o perlomeno cercavo di farlo, ad una via d’uscita.
Va bene,calma e sangue freddo, cerchiamo almeno di limitare i danni in pubblico, salviamo le apparenze, ma come?
Troppo poco tempo per ragionare, troppa poca lucidità.
Panico crescente.
Con dita tremanti mi sciolsi i capelli, lasciandoli ricadere sulle spalle e sugli occhi.
Stavo a testa china facendo in modo che mi coprissero il volto, sperando così di riuscire a mascherare tutte le varie sfumature emotive che stavano affiorando sul mio viso .

Nel momento in cui sentii sopraggiungere l’orgasmo, presi il coraggio a due mani e sempre tenendomi aggrappata al tavolo diedi un colpo con lo stinco alla gamba del tavolo, con tutta la forza che avevo .
Dal dolore, mi morsi il labbro inferiore tanto da piantarci gli incisivi e farlo sanguinare e mi accasciai sulla sedia senza fiato.
Ecco , il danno era fatto.

Non osavo sollevare lo sguardo.
Te ne stavi li in piedi, guardandomi fisso.
La vibrazione cessò così, all’improvviso, lasciandomi tremante e con le gambe molli come gelatina.
Il dirigente ,fingendosi preoccupato, si accucciò al mio fianco dicendo: “Signorina, che succede, si sente male?”mentre mi appoggiava una mano sulla coscia, un po’ troppo in alto per la verità, vista la poca confidenza che avevamo.
Tu osservavi imperturbabile la scena, senza battere ciglio.
Lo avrei volentieri preso a testate, non avevo certo né la voglia né le forze in quel momento di flirtare con uno porco, sconosciuto e maleducato.

Ritrovai un filo di voce e mormorai: “Scusate ho preso una botta sullo stinco , sono così goffa quando bevo un bicchiere di troppo, e stasera credo davvero di avere esagerato”.
Con educazione ma con fermezza presi la mano del porco e la scostai dalle mie gambe tremanti.
Gli lanciai un sguardo furente che diceva chiaramente: ci siamo intesi?
Poi, non so come, riuscii ad abbozzare un sorriso.

Forse fu proprio quello, il gesto che mi costò più fatica di tutti, perché ormai dentro di me vi era un tale miscuglio di emozioni da avermi gettato nella più totale confusione.
Respirai a fondo, senza guardarti, temevo l’espressione che avrei visto nei tuoi occhi.
Inizia a massaggiarmi la gamba, sulla quale stava già comparendo un vistosissimo segno rosso , che di li a poco sarebbe diventato un fior fior di livido .

Prendesti in mano la situazione sedendoti al mio fianco e dicendo gentilmente all’uomo accucciato accanto a me : “Non si preoccupi, ci penso io, stia tranquillo non è successo niente di grave”.
Alle mie orecchie quella frase , parve come una condanna.
Non riuscivo più a smettere di tremare, ormai.
Mi accorsi che tutti pensavano davvero che io mi fossi fatta male, quindi in parte l’espediente aveva funzionato.
In effetti era così.

La preoccupazione per me si leggeva chiaramente negli occhi di ognuno dei nostri compagni di tavolo, e la moglie della coppia sposata mi disse : ”Cara, si è fatta male? Posso aiutarla?”
Io dissi un flebile “No grazie, va tutto bene, ora mi passa”.
La gamba mi doleva terribilmente.
Ti sentii dire agli altri: “E’ meglio che la accompagni in bagno a mettere dell’acqua fredda su quella botta o si gonfierà terribilmente. Sono sicuro che in cucina mi procureranno un po’ di ghiaccio. Scusate , aiuto la mia amica a medicarsi, voi non preoccupatevi , torneremo in un baleno, ve la riporterò più in forma di prima.”

Per tranquillizzare gli animi promettesti sorridendo che la prossima volta che mi avresti portato avrei bevuto solo acqua.
Avresti garantito per la mia sobrietà.
Io temevo invece che non mi avresti mai più portato da nessuna parte al mondo, fosse anche il più remoto baraccio malfamato della più lontana e desolata isola deserta.
Provai un po’ di sollievo, se non altro al pensiero di potermi allontanare da tutti quegli occhi puntati su di me.

Il sollievo però era stemperato e annacquato dalla terrificante certezza che ora non avrei più potuto sfuggire al tuo sguardo.
Una volta in bagno saremmo stati soli e avrei dovuto per forza affrontarti.
Non avrei avuto scampo.
Lentamente mi alzai prendendo la mano tesa, che si chiuse sulla mia in una morsa d’acciaio.
Mi aiutasti a mettermi in piedi e tenendomi per la vita camminammo verso la toilette.

Zoppicavo un poco, ma non era quello di certo a farmi vacillare bensì il gelo nei tuoi occhi e il fuoco delle tue mani sulla mia schiena.
Bruciavano, ma questa volta non di passione, bensì di disapprovazione, lo percepivo chiaramente.
Se avessi potuto morire in quel momento, avrei ringraziato il cielo.
“Spero sarai soddisfatta della pessima figura che mi stai facendo fare davanti a tutte queste persone che mi conoscono da anni.” Mi dicesti mentre ci avviavamo verso il bagno.
“Perdonami …. “ma le mie scuse parvero solo il rantolo di condannato a morte che sapeva benissimo di non avere scampo.
Non ci sarebbe stata nessuna amnistia.

Durante il tragitto prendesti dalle mani di un cameriere un cestello pieno di ghiaccio.
“Scusi, la mia amica si è fatta male, ci occorre per la botta” gli dicesti con un sorriso.
Davanti alla porta del bagno incrociammo delle eleganti signore che uscivano chiacchierando allegramente.
Per un attimo ti fissarono, quasi a farti intendere che non potevi entrare.
Quella era la toilette delle donne.
Sfoggiasti un sorriso smagliante e con voce calda e suadente, dicesti: ” Chiedo scusa mie belle signore, so che questo luogo non sarebbe a me concesso ma aimè devo mio malgrado profanarlo per aiutare la mia amica che si è fatta male ” e così dicendo ti prodigasti in un elegante inchino facendole arrossire di imbarazzo per quel gesto.

Varcammo la soglia della toilette, io ti seguivo.
Alzai per un attimo lo sguardo, per vedere la tua espressione.
Vidi appoggiata ai lussuosi lavandini di marmo grigio una donna bellissima, dall’aspetto altero e aggressivo, che ti guardava ammiccante.
Mi aspettavo che le dicessi qualcosa, per giustificare la tua presenza nel bagno delle donne.

Invece, appoggiando il cestello , ti prodigasti in un elegante baciamano.
La prendesti poi per la vita e la baciasti sulla bocca attirandola a te.
“Ti ringrazio di essere venuta, è da molto che non ci vediamo, sono felice di riabbracciarti, mi sei mancata molto” le dicesti felice.
“Tesoro, sai che non posso resisterti. Anche io desideravo rivederti!!” ti disse maliziosa, con un sorriso a 32 denti, sfiorandoti un braccio con splendide mani affusolate, perfettamente curate, come tutto il resto di lei per altro.

Non mi degnò neppure di uno sguardo, pareva che fossi entrato da solo nel bagno.
Era come se io fossi invisibile, come se non esistessi proprio.
Mi stavi apertamente ignorando anche tu.
La tua attenzione era tutta rivolta verso la donna che avevi di fronte.
Era ovviamente l’amica che avevi chiamato prima al telefono.
Era chiaramente la mia punizione e il tuo godimento.
Ti vidi allungare una mano verso la porta e girare la chiave.
Solo dopo, quando uscii dal bagno, vidi il cartello con scritto guasto, appeso alla porta.
Affinchè nessuno potesse incominciare a bussare insistentemente avevi chiesto al cameriere che lo attaccasse una volta che ci avesse visto entrare.

Mettesti una mano in tasca, ne tirasti fuori il telecomando del vibratore e lo gettasti nel cestino , come a volermi far intendere che non vi era più alcun divertimento legato a me.
Rovesciasti per terra il cestello per lo champagne e mi ordinasti di mettermi in ginocchio.
Io mi accascia a terra in un gesto automatico.
Le ginocchia si bagnarono nell’acqua fredda dei cubetti di ghiaccio che andavano sciogliendosi.

Lei ti stava aggrappata addosso, accarezzandoti languidamente la schiena, facendovi scorrere le unghie da gatta, laccate di rosso.
La sua bocca accarezzava il tuo collo con passione, lasciando intuire una grande confidenza tra voi.
Era libera di fare qualsiasi cosa, la vedevo così spregiudicata e spudorata.
Capii chiaramente che era una tua amante appassionata e abituale.

Il mio cuore gridava di dolore, avrei voluto morire piuttosto che dover assistere allo spettacolo che stava per iniziare.
Mi ficcai le unghie nei palmi delle mani.
Per niente al mondo volevo vedere la scena che sarebbe seguita.
Tenendola appassionatamente per la vita, ti avvicinasti , mi mettesti due dita sotto il mento e senza alcuna dolcezza, mi sollevasti il viso.
Volò uno schiaffo: “Apri gli occhi, guarda ! è un ordine! E non dimenticare mai!”
Aprii gli occhi e calde e copiose lacrime iniziarono a rigarmi il volto.

Erano lacrime di smarrimento, dolore, frustrazione, rabbia.
Ti odiavo in quel momento, e odiavo anche lei.
Erano sentimenti umani e non potevo impedire che affiorassero.
Ti lanciai uno sguardo implorante che venne ignorato senza alcuna pietà.
In quel preciso istante vidi la donna accosciarsi sugli alti tacchi a spillo a pochissimi centimetri da me, e iniziare a slacciarti la cintura
La vidi sbottonarti i pantaloni giocando col tuo cazzo.
Eri eccitato e le accarezzavi dolcemente i capelli sorridendole.
Mentre faceva tutto questo ti guardava negli occhi , senza abbassarli mai, sensuale e appassionata.

Io me ne stavo li ,con la gamba dolorosamente pulsante e con ancora l’ovetto , muto, spento, solo una presenza fastidiosa al mio interno.
Quello che seguì per me fu uno spettacolo straziante e devastate.
Tra le sue abili labbra la tua cappella scompariva e riappariva in un sensuale gioco di lingua.
Un balletto erotico in cui voi eravate i primi ballerini e io solo una muta spettatrice attonita.
Ero costretta al vostro fianco.

Puntasti gli occhi nei miei senza mai lasciarli.
Non abbassai lo sguardo, non lo avrei fatto mai più.
Mi tenevi sotto controllo affinchè fossi certo che non perdessi neppure un solo istante di tutto quello che stava accadendo.
Mentre stavi per venire mi prendesti per i capelli avvicinando ancora di più il mio viso a voi.
Ti perdesti dentro di lei, che ti bevve avidamente.
Poi con studiata lentezza si rialzò lisciandosi la gonna e accarezzandoti il cazzo ancora pulsante.
Ti baciò appassionatamente.

Ricambiasti il bacio, senza mai però mollare la presa sui miei capelli né smettere di fissarmi, facendo in modo che la mia testa stesse alzata a guardarvi, costringendomi a vedere anche l’ultimo atto di quello strazio, prima che il sipario calasse definitivamente su di me.
Mollasti la presa, il mio mento ricadde penosamente sul petto tremante , non c’era più niente da vedere.
Piangevo silenziosamente.

Le lacrime uscivano da sole, come se dentro di me si fossero rotti gli argini di un fiume in piena e attraverso quel caldo liquido potessi riuscire a far scivolare via da me tutto il dolore che provavo.
Mormorai un:
“Non meritavo tutto questo” e in fondo lo pensavo sul serio, ma queste erano le regole del gioco e lo sapevo sin dall’inizio.
“Dici?” mi rispondesti spietato.

La prendesti per mano e senza più degnarmi di uno sguardo , apristi la porta ed uscisti con lei sorridendole, mimando un caschè e dicendole:
“Forza andiamo a ballare. Sono bello carico, stasera tango argentino”.
Rimasi li per terra, in ginocchio, svuotata.
Poi mi resi conto che avrebbe potuto entrare qualcuno da un momento all’altro.
Penosamente mi rialzai.

Non sapevo più cosa avrei dovuto fare, ma molto probabilmente la risposta a questa mia domanda era niente.
Non avrei dovuto e potuto fare più niente.
Ebbi solo la presenza di spirito di andarmi a chiudere in uno dei bagni per cercare di raccogliere le forze per uscire di li, chiamare un taxi e andare a nascondermi a casa, sotto le lenzuola, per l’eternità intera.

Ne approfittai per togliere la causa di tutto l’accaduto.
Con lentezza estrassi il vibratore tirando piano il cordino.
Rimasi li’ per qualche minuto, tenendolo tra le mani ancora luccicante dei miei umori, a guardarlo.
Poi mi alzai.
Lo gettai nel cestino, assieme al telecomando.
La gamba si era gonfiata oltremodo e la botta si notava vistosamente, ma io non sentivo niente.
Non riuscivo più nemmeno a tremare , mi sentivo un automa, senza forze e senza volontà.
Con gesti meccanici mi rassettai i capelli, mi sciacquai il viso e uscii.

Non avevo la certezza che fosse finita qui.
Attraversai la sala, con passi lenti.
Misi un falso sorriso sul volto, e mi diressi al nostro tavolo.
L’umiliazione più grande fu quella di dover tornare li da sola ad affrontare tutte quelle persone.
Prima di arrivare al tavolo però vidi il dirigente alzarsi e puntare dritto nella mia direzione.
Dentro di me pensai che non ce la potevo fare.

Volevo morire li, così, senza dover dare spiegazione alcuna né dover parlare con chicchessia , tantomeno con quell’uomo fastidioso.
Purtroppo quello che avevi in serbo per me andava oltre ogni mia immaginazione.
Infatti avevi incaricato Michele, così si chiamava, di accompagnarmi a casa, e non potevo né rifiutare né addurre qualche scusa.

Dalle sue parole capii che tra le righe c’era un ordine sottinteso: “ Il tuo amico mi ha pregato di accompagnarti a casa ad ogni costo. Si scusa, ma la donna che lo accompagnava quando è tornato al tavolo, aveva bisogno di lui per una questione urgente di lavoro. Mi ha detto che tu avresti capito e che non avrei dovuto lasciare in alcun modo che tornassi a casa da sola” disse Michele ammiccando.
Ero finita.

Ora avrei dovuto affrontare un viaggio in macchina, e forse non solo quello, con uno che ci avrebbe provato costantemente senza ritegno fino a destinazione.
Non avrei neanche potuto avere la consolazione di chiudermi in me stessa sul sedile posteriore di un anonimo taxi.
Rassegnata presi la mia borsa, salutai gli altri astanti e praticamente priva di qualsiasi vitalità seguii Michele alla sua auto.
Cercai di non lasciar trasparire alcuna emozione.

Permisi che mi aprisse la portiera e che mi aiutasse a salire sulla vettura, ringraziandolo.
Stranamente era molto silenzioso e cortese, al contrario di quello che aveva fatto durante tutta la serata.
Mentalmente ringraziai il cielo per questo dono e mi abbandonai sul sedile mormorando una scusa : “ Ti da fastidio se chiudo un attimo gli occhi? Per colpa del vino mi sta scoppiando un terribile mal di testa.”
Lui gentilmente mi disse: “Fai pure, stai tranquilla, cerca di rilassarti un po’ e vedrai che ti passa”.
Il silenzio di quel viaggio in macchina mi sembrava irreale.

Ebbi la sensazione che non fosse altro che il preludio di un silenzio ancora più terrificante, che temevo più di qualsiasi altra cosa al mondo.
A metà viaggio mi sentii chiedere solo un cortese: “Ti senti un po’ meglio ?Desideri che ci fermiamo a prendere un caffè magari?”
Risposi : “No grazie, mi sta passando ma vorrei poter tenere ancora un po’ gli occhi chiusi se non ti dispiace. Mi rincresce non essere molto di compagnia”.
Lo dissi onde evitare che magari, sentendo che mi ero un pò ripresa, avrebbe ricominciato con le avances.
Richiusi gli occhi e mi persi dentro il mio vuoto, quel vuoto che avevi lasciato così incolmabile da sembrare infinito.
Finalmente iniziavo a riconoscere la strada di casa.

Ero stremata, completamente priva di forze e di reattività.
Michele si informò cortesemente sull’indirizzo esatto della mia abitazione.
Parcheggiammo sotto casa mia, e il sollievo che provai nel vedere il portone fu indescrivibile.
Avevo deciso che sarei andata a riprende la mia auto il giorno dopo.
Forse un amica mi avrebbe accompagnato o al massimo avrei preso un treno.
Avevo capito che non era assolutamente vero che tu e Michele non vi conoscevate per niente.
Probabilmente eravate proprio grandi amici , per quel motivo era stato così delicato e cortese nel viaggio di ritorno.

Michele aveva perfettamente capito tutto, e sicuramente era già a conoscenza di parte delle tue idee per la serata appena trascorsa.
Ne era complice, anzi.
Proprio così.
Era il tuo complice, che avevi assoldato nel caso le cose fossero precipitate come in effetti era accaduto.
Anche le avances che lui aveva fatto nei miei confronti erano state pilotate , ora ne ero sicura.
Un altro ostacolo da superare che avevi studiato per rendere ancora più difficile la mia catastrofica prova.
Mi sentii comunque di ringraziare quella persona per il garbato silenzio che mi aveva concesso e per non aver fatto domande.
“Grazie di cuore” gli dissi, “mi dispiace per averti causato disturbo e per non avere capito che non eri il tipo di uomo che pensavo”.
Lui mi rispose gentilmente dicendo” Sai a volte niente è come sembra” citando quella frase del mio bigliettino di auguri che mi era tanto rimasta impressa.
Poi continuò ammiccando “Saluta il mio amico e digli che un giorno mi ricambierà il favore “.

Stavo per uscire dalla macchina quando Michele mi prese gentilmente per un braccio.
Ecco, pensai, mi sembrava troppo facile che finisse così.
Poi lo sentii dire: “ Ah, ho un piccolo favore da chiederti … se me lo concedi”.
Temevo che il favore potesse essere qualcosa non avevo proprio voglia di fare, ma dissi debolmente: “ Cosa posso fare per te…?”
“Io e te abbiamo scopato, siamo intesi? Ti chiedo solo di dire questa piccola bugia se lui te lo chiederà. So quanto può costarti mentirgli, ma quando lo farai , ricorda che non ti ho scopato solo per rispetto nei tuoi confronti. Mi aveva avvisato che tu lo avresti percepito come un suo ordine e non avresti avuto obbiezioni. In realtà le sue parole esatte furono : scope tela pure. Lo avrei fatto molto volentieri, credimi, sei bellissima. Lui è mio amico ma penso che abbia un po’ esagerato stasera con te. Volevo dirtelo, tutto qui.”

Così dicendo mi fece una carezza sul viso rigato di lacrime e richiuse la portiera.
Io abbozzai appena uno stanco e grato sorriso e mi lasciai alle spalle tutto.

La sua auto, le sue parole sfumate nelle mie orecchie, la notte inoltrata che si stava insinuando nel mio cuore, ogni cosa andava dissolvendosi.
Salii stancamente le scale fino al mio appartamento, aprii la porta, la richiusi alle mie spalle e mi inoltrai in quello che sarebbe stato il mio silenzio per sempre, ne ero certa.
La mia vita procedette normalmente, apparentemente.

Uscivo a cena con gli amici, andavo a lavorare, facevo la spesa.
Non potevo fare a meno ,però, di dormire col telefono sul cuscino e lasciare sempre acceso il pc in attesa di una traccia, di un segnale della tua presenza.
Passarono le settimane e io stavo sempre più male, ogni giorno che trascorrevo in questo micidiale silenzio non faceva che acuire la sensazione che non saresti mai più ritornato, che non mi avresti mai più ricontattato .
Passarono tre settimane, in cui io vissi persa nella mia bolla d’aria irreale, fatta di gesti meccanici, cercando di non far capire a nessuno l’inquietudine e lo smarrimento che provavo.
Nemmeno nel sonno più profondo riuscivo a distaccare l’attenzione da te, nemmeno nei sogni smettevo di sperare .

Guardavo insistentemente la mail, almeno ogni dieci minuti, maledicendo ogni spammer.
Non facevo che cancellare messaggi per evitare che una tua eventuale ed ipotetica mail potesse non arrivare a causa della casella piena.
Arrivavano messaggi di colleghi di lavoro, di amici, pubblicità, voli low cost , offerte di biglietti per i concerti.
Nessuna tua notizia.

Ero ormai senza speranza, finchè un giorno ne ricevetti una che aveva come oggetto una semplice: ciao
Riconobbi subito l’ indirizzo.
Il testo era molto breve e conciso, 6 parole: ore otto solito posto, rosso, sexy.
Lessi la mail ancora una volta, e poi schiacciai il tasto elimina.
I miei amici mi avevano invitato a passare un week end al mare.
Misi le scarpe da ginnastica, i jeans e preparai il borsone.
Mandai l’sms di conferma.
Ore 10:00 al solito posto , autogrill di Novara est.

Aysedicartavelina©

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